lunedì 3 marzo 2014

Ricordati di me (2003)

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LA TRAMA

Ritratto di famiglia borghese in un interno.
Giulia fa l'insegnante al liceo, ma il suo sogno da ragazza era diventare attrice. Suo marito Carlo è funzionario di una società finanziaria, ma la sua aspirazione era scrivere. I due sono stati costretti ad accantonare i loro sogni per l'arrivo dei figli, ora adolescenti. E mentre Valentina, la minore, è determinata a intraprendere la carriera di soubrette televisiva, Carlo ha un incontro che risveglia in lui desideri sopiti... 
Muccino tenta di mettere in scena una sorta di istantanea dell’Italia di oggi, fra famiglie in crisi e lusinghe “catodiche”, ma il risultato pecca di eccessiva superficialità e didascalismo manicheo.
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LA RECENSIONE DI FILMTV

Di Mauro Gervasini - FilmTV n. 8/2003
Ritratto di famiglia borghese in un interno. Il nuovo film di Gabriele Muccino è sapiente nella messa in scena ma accumula luoghi comuni da talk show
Ricordati di me. È un titolo, una speranza, un’incitazione, un imperativo, un valore assoluto del nostro tempo: apparire, essere qualcuno, valere qualcosa, lasciare un segno. Gabriele Muccino ragiona intorno a una delle regole effimere della modernità telematerialistica: i quindici minuti di notorietà di warholiana memoria non bastano più. Sono roba da sfigati. Lo dice il personaggio di Nicoletta Romanoff a Pietro Taricone, la cui fama si è volatilizzata al primo cambio di palinsesto. ESPANDI +

L'OPINIONE PIÙ VOTATA

Di GIANNISV66 scritta il 31/01/2012 - utile per 12 utenti
Voto al film: voto sufficiente
Non sono mai stato un estimatore di Gabriele Muccino. Non mi è mai piaciuta l'eccessiva enfasi con cui fa recitare i suoi attori, personaggi che quasi si urlano addosso, l'uno con l'altro, i loro pensieri senza dare il minimo ascolto a ciò che ha da dire la controparte, assumendo atteggiamenti quasi isterici che mi hanno sempre infastidito. L'Ultimo Bacio e Baciami Ancora sono probanti di quanto sopra e veri manifesti dei limiti del regista romano.
Se c'è un film però dove Muccino si allontana da questi difetti e riesce a farsi apprezzare è questo Ricordati di Me.
La sua capacità nel mettere in scena il disfacimento della famiglia media italiana è assolutamente encomiabile, così come l'abilità nel ritrarre in maniera impietosa i personaggi.
La famiglia felice è solo una facciata dietro la quale si nasconde una desolazione fatta di frustrazioni, sogni di successo a buon mercato e mancanza di valori solidi.
Giulia, la madre (una Laura Morante un po' troppo eccessiva e persino isterica nella sua interpretazione) è un'insegnante con velleità di attrice teatrale, Paolo, il figlio (Silvio Muccino, sulle cui qualità nutro molte perplessità) è un adolescente sfigato (nulla da dire su come viene resa la parte, ma l'impressione è che il fratello del regista non faccia altro che interpretare sé stesso) mentre Valentina, la figlia, è una ragazzina in preda alla sindrome della velina , emblema di un paese di adolescenti la cui massima aspirazione è svestirsi in televisione e finire nel letto di qualche calciatore (con buona pace del movimento femminista e. di chi ha lottato per vedere riconosciuta alla donna la sua dignità). In questo ruolo dà ottima prova Nicoletta Romanoff che è dotata indubbiamente del phisique du role.
Personaggio centrale della vicenda è però il capo-famiglia, Carlo, dirigente in una compagnia di assicurazioni e a sua volta mancato scrittore, l'ottimo Fabrizio Bentivoglio.
Carlo è un perdente, la sua aria perennemente infelice tradisce continuamente la resa interiore che quest'uomo subisce quotidianamente, una persona che ha rinunciato ai suoi sogni e alle sue aspirazioni più intime per inseguire la felicità così come viene preconfezionata dalla società: famiglia, figli, macchina, vacanze etc.
Carlo che della famiglia dovrebbe essere il perno, è invece il primo a saltare quando l'incontro con la vecchia fiamma Alessia gli fa riscoprire emozioni che sembravano ormai entrate nelle foto ingiallite degli album.
A interpretare Alessia troviamo quella che a mio avviso è la grande sorpresa di questa pellicola, Monica Bellucci, che una volta tanto dimostra di non essere solo una bella statuina (bella.....che dico: bellissima!) ma di avere anche delle doti recitative. S c'è dunque un merito che va riconosciuto a Muccino è di essere riuscito a regalare alla nostra Monica un ruolo che probabilmente resterà il migliore della sua carriera.
Carlo sembra voler dunque inseguire il suo sogno di felicità tardiva quando un incidente porterà la famiglia a trovare una compattezza che però è solo apparente.
A parere di chi scrive il maggior merito del film sta proprio nella spietatezza con cui vengono delineati i personaggi, figure meschine persino ridicole quando accennano a tentativi di ribellione a una realtà in cui stanno malissimo ma della quale non possono fare a meno.
Solo Alessia acquisisce una sua dignità quando rinuncia alle comodità di una vita di facciata per troncare col marito e cercare una nuova esistenza. Una scelta netta, decisa, ben in contrasto con il comportamento di Carlo che tornato nella “felicità” dell'alveo familiare in realtà sembra di nuovo maturare un'insofferenza che l'inquadratura finale evidenzia nella sua ambiguità.
Le donne dunque sembrano avere più coraggio degli uomini. Se è vero che il personaggio focale del film è maschile, sono proprio le tre donne a spiccare sullo sfondo, ciascuna espressione diversa di un modo di essere donna oggi. E alla Bellucci e al suo personaggio, il più limpido di tutta la storia, il regista sembra voler affidare una sorta di riscatto, in contrasto col patetismo di Giulia e con il desolante vuoto di valori di Valentina.

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