giovedì 6 marzo 2014

Si può fare (2008)
















Titolo Originale Si può fareNazione Italia - Anno 2008 - Durata 111′Genere Commedia
Data di Uscita 31 Ottobre 2008
Regia Giulio Manfredonia
Cast. Claudio Bisio, Anita Caprioli, Bebo Storti, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli, Carlo Giuseppe Gabardini, Pietro Ragusa, Maria Rosaria Russo
Trama. Nello, un imprenditore milanese che ha perso la propria posizione, si ritrova a dirigere una cooperativa di ex pazienti di ospedali psichiatrici, dopo l’entrata in vigore della legge Basaglia. Credendo fortemente nella dignità del lavoro, Nello spinge ogni socio della cooperativa a imparare un mestiere per sottrarsi alle elemosine dell’assistenza, inventando per ciascuno un ruolo incredibilmente adatto alle sue capacità ma finendo per scontrarsi con inevitabili quanto umanissime e tragicomiche contraddizioni
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mercoledì 5 marzo 2014

Una botta di vita (1988)

COMMEDIA – DURATA 104′ – ITALIA, FRANCIA                                             
È la vigilia di Ferragosto e l’anziano Elvio Battistini (Alberto Sordi), dopo la partenza dei suoi familiari che sono andati in Grecia, è rimasto solo. Anche il coetaneo Giuseppe Mondardini (Bernard Blier) è solo, ma ha ancora tanta voglia di vivere e, per giunta, anche una Lancia Aurelia. I due partono alla volta di Bordighera, ma finiscono a Saint Tropez, tra conquiste solo immaginarie e altre patetiche avventure…
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martedì 4 marzo 2014

La Grande Bellezza (2013)

LaGrandeBellezza

Dopo “L’apparato umano”, l’unico romanzo che ha pubblicato da giovane e che gli ha regalato la notorietà, Jep Gambardella (Toni Servillo) non ha scritto più nulla. È diventato però un giornalista e frequenta spesso l’alta società romana. La sua vita è un susseguirsi di incontri, appuntamenti e celebrazioni eccentriche che lo rendono testimone della crisi della società. Il clima che si respira nella capitale non è infatti più quello di un tempo: potenti, presenzialisti, contesse e immobiliaristi hanno preso il sopravvento, dando il via a un lento ma continuo processo di degrado che trasforma gli uomini in mostri. Durante una calda estate a Jep, ormai cinico e insofferente sessantacinquenne, non resta che pescare nei ricordi e, deluso dal presente, rivivere la sua appassionata e perduta giovinezza, contraddistinta dal ricordo di un innocente amore. Forse per lui è arrivato il momento di cominciare a scrivere qualcosa di nuovo…

http://www.nowvideo.at/video/b6dd08c8d62a8

lunedì 3 marzo 2014

Ricordati di me (2003)

http://ricordatidimevideo.blogspot.it/
video


LA TRAMA

Ritratto di famiglia borghese in un interno.
Giulia fa l'insegnante al liceo, ma il suo sogno da ragazza era diventare attrice. Suo marito Carlo è funzionario di una società finanziaria, ma la sua aspirazione era scrivere. I due sono stati costretti ad accantonare i loro sogni per l'arrivo dei figli, ora adolescenti. E mentre Valentina, la minore, è determinata a intraprendere la carriera di soubrette televisiva, Carlo ha un incontro che risveglia in lui desideri sopiti... 
Muccino tenta di mettere in scena una sorta di istantanea dell’Italia di oggi, fra famiglie in crisi e lusinghe “catodiche”, ma il risultato pecca di eccessiva superficialità e didascalismo manicheo.
Incluso nelle taglist:

LA RECENSIONE DI FILMTV

Di Mauro Gervasini - FilmTV n. 8/2003
Ritratto di famiglia borghese in un interno. Il nuovo film di Gabriele Muccino è sapiente nella messa in scena ma accumula luoghi comuni da talk show
Ricordati di me. È un titolo, una speranza, un’incitazione, un imperativo, un valore assoluto del nostro tempo: apparire, essere qualcuno, valere qualcosa, lasciare un segno. Gabriele Muccino ragiona intorno a una delle regole effimere della modernità telematerialistica: i quindici minuti di notorietà di warholiana memoria non bastano più. Sono roba da sfigati. Lo dice il personaggio di Nicoletta Romanoff a Pietro Taricone, la cui fama si è volatilizzata al primo cambio di palinsesto. ESPANDI +

L'OPINIONE PIÙ VOTATA

Di GIANNISV66 scritta il 31/01/2012 - utile per 12 utenti
Voto al film: voto sufficiente
Non sono mai stato un estimatore di Gabriele Muccino. Non mi è mai piaciuta l'eccessiva enfasi con cui fa recitare i suoi attori, personaggi che quasi si urlano addosso, l'uno con l'altro, i loro pensieri senza dare il minimo ascolto a ciò che ha da dire la controparte, assumendo atteggiamenti quasi isterici che mi hanno sempre infastidito. L'Ultimo Bacio e Baciami Ancora sono probanti di quanto sopra e veri manifesti dei limiti del regista romano.
Se c'è un film però dove Muccino si allontana da questi difetti e riesce a farsi apprezzare è questo Ricordati di Me.
La sua capacità nel mettere in scena il disfacimento della famiglia media italiana è assolutamente encomiabile, così come l'abilità nel ritrarre in maniera impietosa i personaggi.
La famiglia felice è solo una facciata dietro la quale si nasconde una desolazione fatta di frustrazioni, sogni di successo a buon mercato e mancanza di valori solidi.
Giulia, la madre (una Laura Morante un po' troppo eccessiva e persino isterica nella sua interpretazione) è un'insegnante con velleità di attrice teatrale, Paolo, il figlio (Silvio Muccino, sulle cui qualità nutro molte perplessità) è un adolescente sfigato (nulla da dire su come viene resa la parte, ma l'impressione è che il fratello del regista non faccia altro che interpretare sé stesso) mentre Valentina, la figlia, è una ragazzina in preda alla sindrome della velina , emblema di un paese di adolescenti la cui massima aspirazione è svestirsi in televisione e finire nel letto di qualche calciatore (con buona pace del movimento femminista e. di chi ha lottato per vedere riconosciuta alla donna la sua dignità). In questo ruolo dà ottima prova Nicoletta Romanoff che è dotata indubbiamente del phisique du role.
Personaggio centrale della vicenda è però il capo-famiglia, Carlo, dirigente in una compagnia di assicurazioni e a sua volta mancato scrittore, l'ottimo Fabrizio Bentivoglio.
Carlo è un perdente, la sua aria perennemente infelice tradisce continuamente la resa interiore che quest'uomo subisce quotidianamente, una persona che ha rinunciato ai suoi sogni e alle sue aspirazioni più intime per inseguire la felicità così come viene preconfezionata dalla società: famiglia, figli, macchina, vacanze etc.
Carlo che della famiglia dovrebbe essere il perno, è invece il primo a saltare quando l'incontro con la vecchia fiamma Alessia gli fa riscoprire emozioni che sembravano ormai entrate nelle foto ingiallite degli album.
A interpretare Alessia troviamo quella che a mio avviso è la grande sorpresa di questa pellicola, Monica Bellucci, che una volta tanto dimostra di non essere solo una bella statuina (bella.....che dico: bellissima!) ma di avere anche delle doti recitative. S c'è dunque un merito che va riconosciuto a Muccino è di essere riuscito a regalare alla nostra Monica un ruolo che probabilmente resterà il migliore della sua carriera.
Carlo sembra voler dunque inseguire il suo sogno di felicità tardiva quando un incidente porterà la famiglia a trovare una compattezza che però è solo apparente.
A parere di chi scrive il maggior merito del film sta proprio nella spietatezza con cui vengono delineati i personaggi, figure meschine persino ridicole quando accennano a tentativi di ribellione a una realtà in cui stanno malissimo ma della quale non possono fare a meno.
Solo Alessia acquisisce una sua dignità quando rinuncia alle comodità di una vita di facciata per troncare col marito e cercare una nuova esistenza. Una scelta netta, decisa, ben in contrasto con il comportamento di Carlo che tornato nella “felicità” dell'alveo familiare in realtà sembra di nuovo maturare un'insofferenza che l'inquadratura finale evidenzia nella sua ambiguità.
Le donne dunque sembrano avere più coraggio degli uomini. Se è vero che il personaggio focale del film è maschile, sono proprio le tre donne a spiccare sullo sfondo, ciascuna espressione diversa di un modo di essere donna oggi. E alla Bellucci e al suo personaggio, il più limpido di tutta la storia, il regista sembra voler affidare una sorta di riscatto, in contrasto col patetismo di Giulia e con il desolante vuoto di valori di Valentina.

domenica 2 marzo 2014

Ci vediamo domani

http://www.nowvideo.ag/video/g7k64c8wkb6c8


Commedia malinconica che tenta di restituire una realtà non edulcorata attraverso la verve di Brignano
Paola Casella     * * * - -
Locandina Ci vediamo domani
Marcello Santilli è uno spiantato sempre in cerca dell'occasione per "svoltare" la propria esistenza popolata da una ex moglie, una figlia che considera il padre "il bruco nella sua mela" e una nonna che l'ha cresciuto in assenza dei genitori, e che continua a chiedergli se gli affari vanno bene (sapendo che non è mai così). Quando Marcello apprende che un paesino della Puglia abitato da ultranovantenni è privo di un'agenzia di pompe funebri decide di aprirne una lui, convinto che sia l'opportunità della sua vita, visto che "in tempi di crisi la gente fa solo due cose: mangia e muore". Ma i vecchietti non hanno alcuna intenzione di andarsene, e Marcello rischia di fare l'ennesimo buco nell'acqua.
Su uno spunto non dissimile da quello del Pinuccio Lovero di Pippo Mezzapesa, che vedeva un becchino del bitontino impossibilitato a svolgere il proprio mestiere per mancanza di defunti, Ci vediamo domani imbastisce una vicenda che fa luce su una problematica contemporanea: la contrapposizione socioeconomica fra i quarantenni privi di opportunità lavorative "massacrati da preoccupazioni e incertezze" e la generazione dei loro nonni che, non avendo "niente da perdere" (e spesso potendo fare conto su una pensione e una casa di proprietà), può godersi il presente (acciacchi permettendo) senza l'angoscia costante del domani, nel privilegio di un "coraggio assoluto".
Il film di Andrea Zaccariello, autore di corti pluripremiati e regista di innumerevoli spot pubblicitari fra cui quelli "celestiali" di una nota marca di caffé, non è una commedia tout court (anche se si ride e si sorride) ma la storia malinconica e a tratti struggente di un maschio contemporaneo preso d'assedio da una realtà fatta di "furbetti del quartierino" e di chance mancate. La vis comica di Enrico Brignano, da sempre sottesa da una vena di strazio esistenziale, si attaglia perfettamente al personaggio di Marcello, e forse ne è l'ispiratrice. 
Intorno al suo personaggio la complessa realtà italiana è raccontata in dettagli precisi: l'arredamento "antico" della casa della nonna, le palazzine di dignitosa modestia del quartiere romano, il paese arcaico la cui piazza è attraversata dagli anziani abitanti come certe inquadrature pasoliniane dalle galline di cortile. La piega lievemente surreale della messinscena viene allo scoperto in un'inquadratura finale, con un personaggio che guarda in macchina con espressione stranita. 
Imperfetto nel ritmo narrativo e nei tempi comici nonostante la verve di Brignano, Ci vediamo domani resta comunque un coraggioso tentativo di pescare dalla realtà e restituircela non edulcorata, con la stessa laconica presa d'atto della figlia di Marcello (Giulia Salerno, molto brava e credibile) quando dice: "Io non giudico, semplicemente non faccio finta di niente". 
E Zaccariello, anche sceneggiatore, riporta correttamente sulle spalle del protagonista la responsabilità morale delle sue scelte, ricordandogli che la coscienza di non meritarsi le proprie sfortune non lo assolve dal dovere di evitarne altre, a sé e a chi gli sta vicino. Bel ruolo di contorno per Burt Young (doppiato da Omero Antonutti) nei panni di un "papà d'America" pronto ad accogliere Marcello, pregi e difetti, raffinata la canzone finale di Cristina Donà.