Un film che guarda al passato
per farsi attuale e necessario |
Adriano Ercolani
|
Lo scrittore Jean Cormery torna nella sua patria d'origine, l'Algeria, per perorare la sua idea di
un paese in cui musulmani e francesi possano vivere in armonia come nativi della stessa terra.
Ma negli anni '50 la questione algerina però è ben lontana dal risolversi in maniera pacifica.
L'uomo approfitta del viaggio per ritrovare sua madre e rivivere la sua giovinezza in un paese
difficile ma solare. Insieme a lui lo spettatore ripercorre dunque le vicende dolorose di un
bambino il cui padre è morto durante la Prima Guerra Mondiale, la cui famiglia poverissima è
retta da una nonna arcigna e dispotica. Gli anni '20 sono però per il piccolo Jean il momento
della formazione, delle scelte più difficili, come quella di voler continuare a studiare nonostante
tutte le difficoltà. Tornato a trovare il professor Bernard, l'insegnante che lo ha aiutato e sorretto,
il Cormery ormai adulto ascolta ancora una volta la frase che ha segnato la sua vita: "Ogni
bambino contiene già i germi dell'uomo che diventerà".
Senza mezzi termini il miglior film di Gianni Amelio almeno dai tempi de Il ladro di bambini.
Adattamento del romanzo di Albert Camus, Il primo uomo ripercorre a ritroso le vicende di un
personaggio straordinario, silenzioso e deciso, che ricerca nel proprio passato anche doloroso
le convinzioni che lo hanno portato ad essere ciò che è nel presente. Lo stile del regista è come
sempre asciutto ed elegante, evita inutili infarcimenti estetici e si concentra sulla pulizia e
sull'efficacia dell'inquadratura. Ogni primo piano su volti segnati dalla loro vicenda personale è
preciso, giustificato, emozionante. In questo lo supporta alla perfezione la fotografia accurata
ma mai espressionista di Yves Cape, tornato con questo lungometraggio ai livelli altissimi che
gli competono. Anche la sceneggiatura alterna i piani temporali costruendo un equilibrio
narrativo basato sulla vita interiore del personaggio principale, un'architettura narrativa
complessa e sfaccettata che funziona a meraviglia. Poi ovviamente ci sono gli attori, tutti in stato
di grazia. Jacques Gamblin possiede la malinconia e insieme il carisma necessari per
sintetizzare al meglio l'anima di una figura complessa come Jean Colmery. Accanto a lui una
schiera di volti che regalano dignità e verità a tutte le parti, anche le più piccole: su tutti vale la
pena citare una sontuosa Catherine Sola nelle vesti della madre di Jean, interpretata in gioventù
dalla brava Maya Sansa.
Un'opera raffinata e umanissima, in grado di rivendicare l'importanza della memoria non solo
personale ma collettiva, una memoria che deve essere adoperata come strumento d'indagine
delle contraddizioni del presente. Sotto questo punto di vista quindi un film che guarda al passato
per farsi attuale e necessario. Cinema di qualità estetica elevata e d'importanza civile. Da applauso.
Primo Tempo:
Secondo Tempo:
|
Nessun commento:
Posta un commento